Rigetto Impianti (Sfatiamo il mito)

L’implantologia è una branca chirurgica dell’odontoiatria.


La terapia Protesica supportata da impianti è ormai un procedimento standardizzato e affidabile, il cui successo supera abbondantemente il 90% dei casi trattati.


E quando va male? Come succede? Perché succede?


Nel corso degli anni molte cose sono cambiate sia dal punto di vista merceologico che dal punto di vista clinico.


Se circa venti anni fa era considerato rischioso inserire Impianti di 10 mm (considerati troppo corti), oggi tale lunghezza è considerata Standard. Lo stesso dicasi per la scelta del diametro “giusto”.


Nel recente passato, si è pensato che inserire un impianto “largo” potesse essere la scelta giusta in un caso di “Implantologia post-estrattiva immediata” (estrazione di un dente e contestuale inserimento di un impianto) in quanto si riteneva che ciò potesse ridurre il naturale riassorbimento osseo post estrattivo.


Oggi sappiamo che in realtà le cose non stanno così.
Ma perché questi cambiamenti?


Sicuramente un ruolo importante lo ha avuto la ricerca nel campo dei materiali.


Ad esempio si è passati da impianti cosiddetti “lisci” (Machined) ad impianti con superficie trattata, più performanti.


Anche la forma degli impianti ha subìto cambiamenti, il passo delle spire, la loro lunghezza, ecc..


Ma fondamentale è stata la ricerca clinica.


Osservare ciò che succede dal punto di vita clinico è stato e sarà fondamentale per capire i problemi ed allungare la vita ai nostri impianti.


Oggi consideriamo l’implantologia una branca della protesi, e non più semplicemente un atto chirurgico finalizzato ad inserire una vite in titanio nell’osso.


Senza approfondire troppo questo aspetto, ci basti riflettere sul fatto che “ieri” si metteva l’impianto dove c’era l’osso, “oggi” si mette l’impianto dove e come servirà per poter fare una protesi (capsula) nel modo giusto.


Questo cambio di paradigma ha molto cambiato il nostro approccio chirurgico all’implantologia.


La domanda che oggi ci poniamo è: “per costruire il dente con questa forma e in questa posizione, dove e come devo inserire l’impianto? l’osso a disposizione, è sufficiente? E la gengiva?


Devo ricostruire (rigenerare) l’osso perso? Devo modificare la qualità e quantità di gengiva intorno all’impianto (innesto di connettivo)?”


Oggi sappiamo che è fondamentale avere lo spessore di osso giusto intorno all’impianto, e la giusta quantità di gengiva aderente (cheratinizzata).


E questo ci impone sempre più spesso la necessità di intervenire su questi tessuti (prima, durante o dopo l’inserimento dell’impianto).


Ma da dove nascono queste “nuove” linee guida?
Sostanzialmente dallo studio dei fallimenti!

Ma perché gli impianti vengono “rigettati” dal nostro corpo?

In realtà non si tratta di un vero “Rigetto”. Si perchè il rigetto è sostanzialmente una mancata accettazione da parte del nostro organismo nei confronti di qualcosa che non viene riconosciuto come “proprio”. Ad esempio un corpo estraneo come una spina, viene effettivamente rigettato, oppure un organo non compatibile, ma gli impianti sono perfettamente biocompatibili!!
Per quanto riguarda la perdita degli impianti, ormai sappiamo che non esiste il rigetto.
Esiste piuttosto il fallimento della terapia implantare.
I fallimenti degli impianti dentali possono essere precoci o tardivi, a seconda che si verifichino prima della protesizzazione (precoci) o dopo (tardivi).

Una delle principali cause di problemi nell’implantologia è la mancata “selezione” del paziente, e la sua istruzione alla gestione degli impianti.
Non tutti i pazienti infatti possono essere sottoposti a terapia implantare. Ad esempio alcuni farmaci utilizzati per la cura dell’osteoporosi o nella cura di alcuni tumori, come i bifosfonati, negano la possibilità di ricorrere alla terapia implantare, oppure il paziente con un diabete scompensato, o affetto da malattie neurologiche gravi, ecc.. (controindicazioni assolute).
Altre volte abbiamo invece le cosiddette “controindicazioni relative”, cioè situazioni in cui gli impianti si possono inserire, ma con le dovute precauzioni. Ad esempio i forti fumatori (> 10 sigarette/giorno) hanno un rischio più elevato di perdere un impianto, e andrebbero motivati alla cessazione, o riduzione. Altri pazienti sono sottoposti a terapie anticoagulanti. Oppure devono sottoporsi al Rialzo di seno mascellare (nei casi di poco osso nel mascellare superiore), ma hanno una sinusite cronica in corso.
Oppure, fatto tanto frequente quanto sottovalutato, se un paziente è affetto da MALATTIA PARODONTALE (Parodontite). Ricordiamo brevemente in questa sede che la Parodontite riguarda (con modalità diverse) circa il 60% della popolazione. E che se non trattata può portare alla precoce perdita dei denti, in quanto tale malattia “attacca” proprio l’osso che mantiene il dente. E guarda caso, è lo stesso osso che serve a noi per poter inserire un impianto. E’ quindi obbligatorio trattare la Parodontite prima di pensare agli impianti ed istruire il paziente alla giusta Igiene Orale Domiciliare.

I fallimenti precoci posso essere dovuti ad infezioni (preesistenti e non trattate, o sopraggiunte; Idiopatiche (di cui non si conosce la causa); o ascrivibili ad errori tecnici. In questi casi più che perdita dell’impianto, dovremmo parlare di “mancata integrazione”.

I fallimenti tardivi sopraggiungono dopo che l’impianto è entrato in funzione. Questi possono essere legati alla protesi, a parafunzioni, e soprattutto alla contaminazione batterica dell’impianto (perimplantite).

Fondamentale risulta quindi, la cosiddetta Terapia di Mantenimento.
Alla base della quale c’è il costante controllo da parte del Dentista e dell’Igienista così da poter intercettare e risolvere eventuali problemi, prima che facciano “rigettare” i nostri impianti.